La mia prima Spartan Race

L’11 giugno al Crossodromo del Ciglione (Malpensa), ho partecipato alla terza edizione italiana della Spartan Race, la più partecipata di tutte quelle organizzate in Italia, la prima della mia vita. C’erano quasi settemila persone iscritte che hanno provato a superare i propri limiti e le proprie paure e che per un paio d’ore si sono sentite come nel film ‘300’. Avete presente? Solo che nella Spartan Race non ci sono armature, sangue o scene epiche di combattimenti. Nessuno muore, anche se ho pensato di andarci molto vicina almeno un paio di volte.

Le Obstacle Course Race in Italia stanno prendendo piede sempre di più, infatti esiste un campionato italiano e da poco è nata la Federazione Italiana  Obstacle Course Race. La corsa non è più fine a se stessa in queste competizioni, occorre dimostrare forza fisica e tenacia per superare gli ostacoli presenti sul percorso, degni della fantasia di un sergente dei marines. Negli USA sono più popolari di maratone e mezze maratone (fonte Running USA). In UK contano addirittura 270 gare all’anno.

Questa edizione della Spartan Race che è arrivata presto al sold out, ha visto trionfare Eugenio Bianchi, fortissimo atleta veterano delle OCR, e ha contato la partecipazione di numerose donne, tutte motivate e preparate, esclusa la sottoscritta che in quanto a motivazione ne ha da vendere mentre sulla preparazione specifica ci sarebbero da rivedere un paio di cose.

Ma qual è stato il processo veloce e inesorabile che ha portato una normalissima podista come me a partecipare a un OCR? Me ne stavo lì, tranquilla nel mio mondo fatto di allenamenti e qualche gara ogni tanto, qualcuno da mesi stava tentando di convincermi a provare fango e ostacoli ottenendo sempre il mio scetticismo e il mio rifiuto. Però poi pensandoci e ripensandoci, il tarlo mi era entrato in testa. Lo sentivo ogni tanto e non gli davo retta. Fino a quando è arrivata la telefonata di Reebok: “Vuoi partecipare alla Spartan Race?”. E mentre dentro di me pensavo ‘neanche morta’, dalla mia bocca ne è uscito un unico, inesorabile, inconfondibile: “Si”

I giorni a venire, sono stati un susseguirsi di incubi. Nell’ordine: perdere l’aereo da Milano a Malpensa (??) il giorno dell’evento, colpire la fronte di un giudice di gara con il giavellotto, cadere da un container, arrivare trionfale alla fine ma prendere fuoco nel salto finale. Insomma l’avevo presa bene. Fortunatamente sono riuscita a trascinare sulla linea di partenza insieme a me, un amico ignaro (grazie Andrea!). Anche lui se ne stava tranquillo nel suo mondo fatto di allenamenti e qualche gara ogni tanto e il fatto che sia uscito di parecchio dalla comfort zone per seguirmi in questa avventura, l’ho apprezzato moltissimo.

Con l’avvicinarsi della gara mi è sembrato tutto strepitoso e terrificante allo stesso tempo, ma poi sono arrivata alla partenza è mi è parso solo tutto terrificante. Innanzitutto sono rimasta per molti minuti a fissare il muro da scavalcare per arrivare alla linea del via. Non perché quel muro mi piacesse particolarmente, ma perché mi sono passati davanti agli occhi infiniti modi per superarlo, tutti a me sconosciuti. Fino a quando è arrivato Andrea, il mio compagno di squadra, che vedendo la mia faccia mi ha subito tranquillizzata: “Pensa a divertirti, in qualche modo lo superiamo”,

Siamo partiti tra fumogeni, esaltazione e tensione generale al grido di AROO e dopo neanche due minuti di corsa eravamo già in una pozza gigante di fango. Il primo pensiero è stato a quando la mamma diceva di non entrare nelle pozzanghere, il secondo pensiero è andato al mio nuovo outfit Reebok, in particolare alle bellissime All Terrain con la suola tassellata antiscivolo e tutte colorate. Non torneranno mai più come prima. La corsa è proseguita lungo sentieri a tratti pieni di sassi e radici d’alberi e ad ogni ostacolo da affrontare mi sono accorta che c’era sempre qualcuno prima di noi (più o meno bravo, uomo o donna), che tendeva la mano per aiutare. Il momento mistico è arrivato quando ci hanno dato una catena di 15 kg da trasportare in salita lungo la collina. Ma mentre arrancavo disperata chiedendomi: “perché?”, mi è venuto incontro il fotografo e ho immediatamente ripreso una posizione dignitosa. Poco dopo mi sono ritrovata a trasportare, andata e ritorno, per 20 lunghissimi metri, una sfera di cemento che assomiglia tanto ai panettoni dei parcheggi che mai avrei immaginato di spostare nella mia vita. Una scena davvero grottesca pari solo al traino del carretto con tanto di cinghia intorno alla vita, esattamente alla stregua di un bue. E poi è arrivato. Lui, il protagonista dei miei recenti incubi, il giavellotto. L’ho tirato verso il bersaglio di paglia con tutta la forza che avevo, mancandolo naturalmente e scontando la penalità con 30 comodi burpees. L’ultimo interminabile ostacolo, è stato il passaggio sotto il filo spinato strisciando in una palude di fango. Solo che anche lì, nel momento più straziante è arrivato il fotografo (una persecuzione), e quindi ho immediatamente indossato l’espressione di chi è appena uscita dal parrucchiere.

Ecco, nel giro di un’ora e mezza ho corso circa 7 km, ho fatto cose che nemmeno il dottore mi avrebbe convinto a fare, ma ne sono uscita con un sorriso di soddisfazione simile ad una paresi, tenendo stretta la medaglia conquistata con tanta fatica. Cos’è successo? Sono stata Spartana per un giorno.

La vita sarà migliore? Molto probabilmente no ma dentro di me sto già dicendo: “Beh, però, quasi quasi la rifaccio”. Del resto al mio terzo di medaglia (Sprint Finisher) mancano gli altri due pezzi per completare il medaglione intero (Super Finisher e Beast Finisher)

Come dicono delle OCR, prima vi chiedono perché lo fai e poi vi chiedono: “Ma come hai fatto a farla?”

P.s.: La prossima volta la manicure la prenoto per tempo, far tornare pulite o quanto meno presentabili unghie di mani e piedi, è l’ultimo ostacolo, il più difficile.

 

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