Qualche tempo fa al press day di Green Media Lab, ho conosciuto Nico Valsesia.
E’ stato un incontro inaspettato. Mentre ci stringevamo la mano, pensavo a quanto ero impreparata sul curriculum sportivo di quest’uomo. Mi ricordavo a tratti delle sue imprese, tra le quali la Race Across America, ma non conoscevo i numeri e non mi rendevo realmente conto di chi avessi davanti in quel momento. Ma del resto non ero lì per intervistarlo. Si trattava di un incontro casuale.
Tuttavia mentre iniziavo a rammaricarmi per la mia totale ignoranza (cavolo, era proprio lì accanto a me e chissà quando l’avrei rivisto), con un tempismo perfetto l’amico che me lo ha presentato mi dice “dai che aspetti, intervistalo, è qui apposta!”.
Guardo Nico e lui guarda me in attesa che inizi con le domande. Pochi secondi (un’eternità)in cui cerco di farmi venire in mente l’impossibile. Poi all’improvviso mi ricordo che è appena tornato da Osaka dove ha corso la maratona insieme agli amici Giovanni Storti e Aldo Baglio per Mizuno Italia. Bingo!
Gli domando quindi com’è andata la maratona ma lui fa spallucce. “Bene” mi dice. Gli chiedo in quanto tempo l’ha corsa. Mi guarda perplesso: “Non saprei”.
E’ stato come chiedere a uno scienziato nucleare ‘allora ce l’hai fatta a fare 2+2?’. La sensazione è stata quella. Mi viene in soccorso Monica, la sua pr. Mi dice che sta uscendo il suo nuovo libro: ‘La fatica non esiste ’, in cui racconta le sue incredibili imprese. Tra le quali appunto la Race Across America, che ha disputato per ben 5 volte. Una gara in bici lunga 5.000 km in cui si attraversano gli Stati Uniti dalla costa Ovest alla costa Est. L’ultima nel 2014 l’ha conclusa in 9 giorni, 12 ore e 44 minuti classificandosi terzo assoluto.
Così, la prima domanda che mi esce dalla bocca non è affatto all’altezza dell’impresa: “E per dormire, mangiare e fare i bisogni, come facevi?” – “Facevo delle brevi pause, anche per dormire, a volte anche solo minuti, poi riprendevo”.
Sono tentata di chiedergli se è una persona normale. Ma rischierei di sembrare ancora più banale, così gli tocco furtivamente un braccio mentre gli parlo per capire se è fatto di carne ed ossa. Pare di si.
Cerco di immaginare come può essere passare 9 giorni su una bicicletta pedalando senza fermarsi quasi mai, passando dal caldo torrido ai nubifragi. Mi spiega che anche se l’auto di supporto con a bordo la sua Crew non lo ha mai abbandonato (tranne per rifornimenti e necessità varie), comunicando con lui spesso e incitandolo soprattutto quando lo vedevano barcollare, anche se nelle cuffie c’era la sua infinita playlist, arrivava il momento della solitudine, del tempo che si dilata, dei minuti che diventano lunghi come ore. Arriva la stanchezza e arriva la strada (il tratto nel Kansas per esempio) sempre dritta e sempre uguale. “E come la affrontavi?” – “A volte passavo le ore estraniandomi dalla realtà. Pedalavo e seguivo la strada come un automa, ma con la testa non ero presente. Questo mi ha aiutato molto a passare il tempo” – “Meditazione?” – “Non lo so, se di meditazione si trattava non era voluta”. Sopravvivenza, penso io.
Gli dico che prestissimo leggerò il suo libro per realizzare meglio chi sia l’uomo che ho di fronte oggi. Sorride imbarazzato. Gli faccio un’ultima domanda che innalza il livello dell’intervista: gli chiedo quale parte del suo libro è stata più difficile da scrivere dal punto di vista emotivo. “Quella in cui parlo dei miei figli”. Si emoziona un po’ gli brillano gli occhi e mi racconta di quanto sia stato importante per lui la presenza di suo figlio Santiago nell’ultima RAAM.
Lo ringrazio e ci salutiamo.
Il giorno dopo compro il suo libro, giusto per capire come sia possibile che la fatica non esista e per rendermi conto di quante altre cose avrei potuto chiedergli.
Dopo poche pagine rimango colpita da questa frase che sospetto sia la chiave dell’intero libro: ‘Non basta voler vincere o, semplicemente, voler arrivare fino in fondo. Perché il cervello si riaccenda, anche quando è annebbiato dopo trenta ore dall’ultima volta in cui ti sei sdraiato a riposare, non è sufficiente che tu dica: – “Lo voglio” ‘ … ‘Per andare avanti, nonostante tutto, deve piacerti quello che stai facendo’.
Già Nico da ragazzino sa quello che vuole: lavora nella pasticceria dei suoi genitori per poter comprare la sua prima Bmx. Iniziano le lunghe pedalate in salita e discesa sulle sue montagne, alternate alle gare di sci, altra sua passione. Scopre poi il downhill, ma quando sente per la prima volta l’esistenza della Race Across America, la sua mente e il suo fisico si protendono a un unico scopo: riuscire a coprire quella lunga distanza, un giorno o l’altro.
Inizia così la sua lunga avventura in giro per il mondo. Organizza viaggi per appassionati ciclisti che hanno voglia di sfidare i propri limiti proprio come lui: Lhasa –Kathmandu, il Marocco dove organizza anche una gara di corsa che riscuoterà grande successo: il Toubkal Trail perché dove non si può arrivare in bici, si può e si deve arrivare correndo. Replica in Italia inventando il K3, il triplo chilometro verticale sul Rocciamelone.
E ancora il Sud America, tra Perù, Cile, Bolivia e Patagonia dove conosce e si affeziona alla popolazioni locali che accolgono sempre con entusiasmo il gruppo dei ciclisti.
Raggiungere la vetta dell’Ojos Salado in Cile quando mancano 1000 metri per arrivare ai 6891, staccarsi dal gruppo e raggiungere la vetta con abiti da ciclista e scarpe da corsa su strada, sorpassando un gruppo di tedeschi imbragati che lo guardano come se fosse un folle. Attraversare il Salar de Uyuni in Bolivia, il deserto salato più esteso del mondo a quota 3.600 metri, non in bici come ha già fatto ma di corsa, con il suo amico Marco Gazzola: 140 km in un’unica tappa. Coprire il massimo dislivello nel minor numero di chilometri da 0 a 4810 metri partendo in bici da Genova e arrivare correndo e scalando alla cima del Monte Bianco in un tempo da record, poco più di 16 ore. Affrontare la RAAM, dove impara a porsi piccoli traguardi intermedi per non farsi schiacciare dal peso di quel traguardo lontanissimo distante 5000 km, che a quarantatre anni riesce a raggiungere nel suo tempo migliore in assoluto rispetto alle 4 RAAM precedenti.
Sono solo alcune delle incredibili imprese di Nico. Un uomo dai nervi d’acciaio e dalla forza interiore immensa. Che in questo libro sembra invulnerabile, impavido e determinato a superare i propri limiti sempre, dove ve ne sia la possibilità. Ma aggiungere difficoltà alle proprie imprese è in realtà un modo per dimostrare a se stesso e agli altri che si può arrivare dove si vuole quando si vuole solo se è il tuo cuore a desiderarlo. Allora la fatica non esiste.
