Nonostante i giorni prima della Stramilano, giorni di puro panico, mi dicessi in continuazione che non ero affatto preparata, non era vero. Devo rendere giustizia a quelle serate di allenamenti tosti, fatti di ripetute infinite e recuperi sempre troppo brevi a qualsiasi condizione meteo e dire che invece un po’ mi ero preparata. Sicuramente potevo fare di più, ma l’obbiettivo in questi ultimi due mesi non l’avevo mai perso di vista.
Il fattore determinante che mi ha aiutata fino alla fine, è stato preparare la gara in gruppo. Un gruppo di persone eccezionali che mi hanno idealmente presa per mano e accompagnata fino a qui. Primi tra tutti i due coach Alessandro e Lorena.
Ma veniamo alla vera sfida, quella contro me stessa. Sono sicura che ognuno di noi ha il diavoletto rosso sulla spalla destra, quello pessimista, cattivo, portatore di catastrofici consigli e l’angioletto bianco sulla spalla sinistra, l’ottimista, quello che sdrammatizza e che sempre ha la parola giusta al momento giusto. Immaginateli entrambi con le vostre fattezze, che vi sussurrano cose in continuazione.
Mi sono svegliata la mattina della gara mentre la tizia rossa e cattiva mi comunicava che avevo il torcicollo, di rimanere pure a letto che come scusa per non presentarmi era più che sufficiente. Per fortuna è intervenuto l’angioletto buono ma risoluto a dirmi che dovevo muovermi e che questo del torcicollo era un motivo davvero miserabile.
Sono uscita in bici con metà delle ansie che ho avuto nella Stramilano dello scorso anno. Fino a metà strada, quando mentre pedalavo sentivo già le gambe pesanti e una delle due tizie sulle mie spalle, non ricordo quale, ha suggerito di lasciare la bici e continuare in metropolitana (che già 21km sono tanti per chi non li ha mai corsi nella sua vita), aumentando in me l’agitazione che però si è subito smorzata quando ho raggiunto i ragazzi del gruppo e ho colto sul loro volto le mie stesse emozioni.
Dopo le foto di gruppo e qualche battuta scaramantica, ci siamo tutti avvicinati alla partenza. Tante facce, centinaia, migliaia di persone a guardarsi intorno e a tentare di scorgere le paure nelle espressioni dei volti per sentirsi meno soli, in attesa del boato del cannone, che ha segnato l’inizio di una bellissima esperienza.
Se si è allenati, il fiato e le gambe per arrivare fino in fondo ci sono, bisogna solo convincere la testa. Ma io ho avuto due grandi fortune: correre insieme al gruppo o almeno, una parte del gruppo e correre insieme al coach che, mettendo da parte le ambizioni personali, ha avuto come priorità quella di portare a termine il suo lavoro di allenatore accompagnandoci fino al traguardo. Nel suo ruolo di pacemaker (e bisogna saperlo fare il pacemaker) e di motivatore, ha scandito il ritmo della corsa tra incoraggiamenti, spiegazioni tecniche e rifornimenti vari, come i gel che teneva nascosti chissà dove e che ha distribuito dal decimo chilometro in poi a seconda di chi aveva la faccia più sconvolta.
Magari la voglia di fare un buon tempo e di spingere soprattutto all’inizio è tanta, ma se non si ha esperienza nella gestione della fatica e soprattutto se è la gara d’esordio, è meglio non guardare il cronometro e tenere il passo costante per risparmiare energie. Questo atteggiamento paga soprattutto negli ultimi chilometri per due motivi: inizi a sorpassare podisti che hanno ‘mollato’ e stanno camminando, che erano partiti molto più veloci di te e psicologicamente è una grande spinta ad arrivare bene fino alla fine. Inoltre le energie che hai risparmiato per quasi tutto il tragitto tenendo la falcata costante, ti permettono di osare nella parte finale e aumentare la velocità. Cos’altro è importante per arrivare bene fino in fondo? Idratarsi ad ogni ristoro. Ma come ci spiegava il coach, è sbagliato bere troppa acqua che poi andrebbe direttamente alla vescica. Per idratarsi sono sufficienti piccoli sorsi.
Detto questo, la tizia rossa e pessimista è ricomparsa sulla mia spalla destra intorno al km 18, a dirmi che le gambe non riuscivano più ad andare avanti e che non ce l’avrei mai fatta a correre per altri 3 km. Ma poi è arrivata la voce di Alessandro: “Come se mancasse ancora un giro basso del Montestella, fatto questo, fatto tutto”. E la mia testa si è riaccesa. Fiato ne avevo e anche le gambe erano tornate. Così, sopratutto nell’ultimo km, ho aumentato il passo e quando sono entrata nell’Arena Civica la fatica se n’è andata completamente sostituita dall’esaltazione e dall’emozione del momento. E’ stato a quel punto che è apparsa la tizia buona sulla spalla sinistra, la mia coscienza: ‘Il gruppo ti ha supportato per tutti questi chilometri e tu ti stai allontanando da loro’. Mi sono voltata e li ho visti, con il coach sempre al fianco: il MIO gruppo. Ho rallentato e abbiamo tagliato il traguardo tutti insieme, perché questo ha contato più di tutto il resto.
Ci rivedremo l’anno prossimo Stramilano, quando correremo tutti insieme per formare un unico abbraccio simbolico per Fabio e per la sua famiglia.
Bell’articolo e bella gara, portata a termine alla grande!
Ho letto i tuoi tempi e la tua progressione sulla distanza.
Bravissima!
Grazie Roberto! Sai che detto da te vale il doppio 🙂
Sarò felice di dirlo ancora!!
Alla prossima!!!
Grandissima! Terminare la prima mezza è una soddisfazione immensa! E ora che sai che ce la puoi fare, le prossime volte andrai ancora meglio! 🙂
Grazie Pietro! Non vedo l’ora di farne un’altra:)
Baci
Brava Cristina belle parole…leggendole ho ripercorso quella che anche per me è stata la prima volta…e anch’io sono consapevole che senza il sostegno di Alessandro e la compagnia del gruppo sarebbe stato molto molto piú difficile…forse impossibile
Grazie cara 🙂 é stata una bella prova