Abbigliamento da running: storia del triacetato che sopravvive agli avvenimenti

Grazie per l’ospitalità, vorrei condividere qui qualche delirio sul futuro del nostro sport maturato durante il primo lockdown quando si pensava “niente sarà come prima” .

Ogni (maledetta) domenica mattina la mia timeline di Twitter era affollata da adepti del running che ci tenevano a fare sapere al mondo se avevano fatto il lungo, le ripetute, la gara, quanti km, quali tempi e dove avevano corso con l’hashtag #iocorroqui.

Con l’avvento della pandemia, poiché non si poteva uscire, sempre gli stessi stavano adesso curando il core, facendo esercizi di plank per farsi trovare pronti alla ripartenza. Qualcuno più esibizionista di altri correva addirittura improbabili maratone in terrazza (ovviamente giustificando il tutto con una raccolta fondi).

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Ma quando venne il momento di ripartire il running non c’era più, era tornato il podismo. Le grandi maratone per turisti cancellate, chi voleva competere doveva ripiegare sulle gare locali.

Qui a Bologna sarebbe stata la rivincita di manifestazioni tipo il trofeo “La chiave del bagno”. Gara tipica che si svolgeva in pieno inverno in una desolata zona industriale molto gradita per l’ampia disponibilità di parcheggio. Ma il plus era la maglietta in tessuto rigorosamente non tecnico con l’immagine di un wc raffigurato sul davanti.

I grandi brand che negli ultimi anni avevano vestito i runner da capo a piedi fuggirono inorriditi.

Per le donne fu una liberazione perché poterono abbandonare le fantasiose geometrie mimetiche in voga che avevano l’effetto di rendere i culi più grossi e ripiegarono con piacere su anonimi leggings neri che sfinavano.

Per l’uomo fu la rivincita dello stile Rocky Balboa e il grande ritorno del triacetato. 

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Potrà avverarsi questa previsione?

A quasi un anno di distanza le gare effettivamente non ci sono più, la cura del core è stata subito abbandonata (anche perché se sei un runner scarso, l’unico modo per migliorarsi è correre e non perder tempo a fare della plank), i grandi brand resistono ma anche il triacetato non demorde.

Con un pantalone in triacetato io corsi la mia prima maratona nel 2009. Continuo a utilizzarli tuttora e sono convinto che mi sopravviveranno.

Per quanto riguarda l’effetto sulla prestazione posso assicurare che non sono assolutamente penalizzanti in quanto nel 2010 corsi la stessa maratona con i leggings tecnici prestati da un amico che era rimasto disturbato dalla visione delle foto del mio look in gara, ottenendo un risultato cronometrico ancora peggiore.

E a mio giudizio ancor peggiore fu pure il risultato estetico, infatti sembravo un mimo.

Poi se qualche brand decide di mettermi a tacere e farmi cambiare idea rivestendomi da capo a piedi con avveniristici tessuti tecnici ottenuti con plastiche ripescate nell’oceano sono sempre disponibile.

Buone corse.

Alex Biondo

 

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