Nessuno si sognerebbe mai di correre sotto il sole delle 13:45 su e giù per un crossodromo infangato, in un sabato di un giugno bollente. Quegli otto chilometri con venti e più ostacoli non smuoverebbero dal divano o dalle proprie e rassicuranti abitudini neanche il più incosciente e iperattivo essere umano. Nessuno uscirebbe dalla propria comfort zone per affrontare le fatiche più impensabili. Nessuno pagherebbe per passare minuti di disagio sotto quel filo spinato che sta a 40 cm da terra e che per riuscire a passarci sotto l’unico modo è rotolare in discesa e spingere in salita con tutte le parti del corpo a cui è rimasta un briciolo di energia.
Il giudice mi guarda imperturbabile e mi dice: “Non hai superato l’ostacolo, o ci riprovi fino a quando non ci riesci oppure devi fare questi 30 burpees”. Lo guardo, è un ragazzino. Vorrei dirgli: “Ehi bello, potrei essere tua zia ma forse anche tua madre, vola basso e dammi quella cazzo di bottiglia d’acqua che hai in mano”, ma tutto quello che mi esce dalla bocca è: “Per favore posso avere uno sconto di 5 burpees?”.
Sono stanca, fa caldissimo e ho voglia di bere. Quell’ostacolo è impossibile da superare. Bisogna puntare i piedi su un piano inclinato quasi verticale, scivoloso e pieno di fango bagnato. Per quanto i tacchetti delle mie All Terrain Super 3.0 siano stati efficaci fino a questo punto, non riesco proprio a tenere i piedi puntati, continuo a scivolare e toccare a terra. Le braccia tremano. Vedo Mauro, il mio compagno di squadra, che ci prova. Il cameramen lo sta riprendendo, come se già sapesse che lui ce la farà. E infatti ce la fa. Mi avvio verso il cimitero delle penalità, questa volta affollato, non sono l’unica sfigata. Arriva Mauro e si mette a fare i burpees per me. Mentre lo osservo con un misto di ammirazione e gratitudine mi abbasso e inizio anche io il su e giù. Ce li dividiamo e alla fine me la cavo con 15.
Mi prende per mano e andiamo avanti insieme nella nostra battaglia personale con la fatica (più la mia), gli ostacoli e il fango. Ogni ostacolo sembra essere una possibilità di rivincita sul niente, o su tutto quello che nella mia vita è andato storto. Adesso quei muri insormontabili son lì davanti a me e superarli non è una questione di forza, ma di principio. Ecco perché arriverò fino al traguardo con lo sguardo proiettato in avanti (nelle corse a ostacoli ci si volta indietro solo per aiutare chi è in difficoltà) e andrò a prendere la mia medaglia, e anche quella cazzo di bottiglia d’acqua, che sto morendo di sete. Ecco perché come me, altri 5.100 Spartani sabato scorso hanno partecipato alla Spartan Race di Malpensa, molti di questi con grande coraggio, senza avere una particolare preparazione fisica ma solo tanta forza di volontà, che è poi quella che ti porta ad ogni traguardo. Ostacolo dopo ostacolo, la sfida con se stessi è stata portata a termine e la vera vittoria è stata averci provato e riprovato ancora, per scoprire che tutto è possibile.
Sul podio sono saliti Eugenio Bianchi, primo tra gli uomini, seguito da Stefano Colombo e Luca Pescollderungg, mentre tra le donne ha trionfato Angelique Chetaneau, seguita da Romina Sangiacomo e Federica Cerutti.


