Come stai? Te lo chiedo con il cuore. Ti vedo sempre indaffarata a rincorrere qualcosa o qualcuno, a far quadrare i conti, a evitare di leggere le brutture che la vita e lo smartphone ti sbattono in faccia ogni giorno.
Parlo con te, collega virtuale mai vista, o incrociata alla partenza di qualche gara, sono sicura che fossi proprio tu. Parlo anche con te che fai parte della mia vita da così tanti anni che non ricordo dove ti ho incontrato (o ti ho letto) la prima volta. Magari all’alba di una marcia benefica o di una mezza competitiva. Ci si abbraccia ci si bacia, e si evita la gente che ti sta sul cazzo. Ci si incoraggia a vicenda, per il troppo freddo, troppo caldo, troppo sonno, troppo tutto. A volte parti che sei già a pezzi e arrivi anche peggio. Ma parti, e questo ti distingue da chi resta a guardare.
Donne straordinarie che ammiro e stimo e a cui vorrei dire più che spesso che faccio il tifo per loro. Persone che forse avrei dovuto ascoltare di più, gente silente che dimostra meno di ciò che vorrebbe o di ciò che ha, qualcuno che vorrei avere più vicino per poter essere migliore.
Prima di partire, guardo i volti di chi mi sta intorno. Passo in rassegna le conquiste e le lezioni imparate. La sicurezza e l’esperienza acquisita negli ultimi anni. Le porto con me cercando di correre leggera, lasciando che le ultime delusioni, i sensi di colpa, il dolore, le paure, i pregiudizi e il superfluo affoghino nella fatica, benedetta fatica che arriva puntuale esattamente quando vuole la mia testa.
Arrivo al traguardo e te lo chiedo: quella che stai vivendo, è la vita che sognavi? Ricordati che quel vuoto che hai dentro è divenuto voragine per lasciare spazio a tutto quello che verrà.
Perciò ci vediamo al campo. Domani ripetute 5×800
Cri