Affrontare l’Inferno Run con lo spirito giusto è l’unico modo per superare questa gara, magari con qualche livido e segno del percorso sul corpo che il giorno dopo, e anche quelli a venire, fanno la loro scena.
Prendete due amici. Lei insegnante di yoga, Eleonora Biliotti, lui podista affermato, Matteo Guidotti, di quelli che fanno le maratone sotto le tre ore e considerano l’asfalto lo sfondo perfetto per sputare polmoni e sudore a ogni allenamento. Ora, questi due amici un bel giorno decidono di affrontare quei fatidici 8 km di corsa intervallati da ostacoli naturali e artificiali, simpaticamente rinominati come i gironi infernali danteschi, sostenendosi e incoraggiandosi a vicenda.
Menomale che ho anche fatto il liceo classico, così la mia preparazione mi è tornata ancora una volta in aiuto, almeno sapevo di che “morte, morire” con quei nomi già studiati in passato. E pensare che mi chiamavano secchiona al liceo!
Eleonora (#savetheblonde)
La scorso 5 maggio, una domenica travestita da inverno con pioggia e vento, mi sono chiesta perché abbandonare il mio letto comodo e caldo per andare ad affrontare l’Inferno Run. La risposta era scontata, quando mi viene lanciata una sfida non posso fare altro che accettarla.
Così ho “obbligato” il mio amico e coach (beh faceva scena avere un coach personale) ad affrontare questa sfida con me.
Il simpatico per l’occasione ha addirittura coniato un fantastico hashtag di incoraggiamento: #savethecoach, giusto per ricordarmi in ogni momento che per lui il vero Inferno sarei stata io, una bionda che si sarebbe lamentata tutto il percorso.
E invece si sbagliava perché, sarà stata la fortuna del principiante, per me infatti era la prima gara di questo tipo, ma mi sono anche divertita e mai una volta lamentata, persino quando mi sono dovuta letteralmente buttare nel fango! Ma da mezza toscana quale sono, mi sono sentita a mio agio già da quando ho ritrovato i miei amati cinghiali stampati su pantaloni e maglietta Skins, giusto per restare in tema.
Alcuni ostacoli li abbiamo superati senza difficoltà, quelli dove l’abilità principale era la mira o l’equilibrio per me sono stati una vera passeggiata (da vera yogina). Il problema sono stati i muri da superare e saltare, le monkey bar e i numerosi pesi da portare. Non è proprio un gioco da ragazzi trascinare un sacco pieno di sabbia sulle spalle, o un ceppo di tronco, oppure riempire secchi con l’acqua dell’Idroscalo e buttarsi nel fango con un filo spinato sopra la testa.
Ma ho davvero potuto dimostrare (soprattutto a me stessa) di che pasta sono fatta, quando siamo arrivati al fatidico ponte dove ci aspettava un bel tuffo nel “mare di Milano”.
Beh lì, ho guardato il mio coach, gli ho sorriso e mi sono buttata.
I miei pensieri andavano alle scarpe da trail che indossavo e che avevo paura non mi permettessero di nuotare, ma quando ho toccato la riva dopo una cinquantina di metri e ho battuto il cinque al mio coach, il vero hashtag a quel punto doveva essere #savetheblonde. Scherzi a parte il Team di Run&TheCity si è davvero contraddistinto!
Il momento più bello è stato arrivare al tanto atteso scivolo, il Quarter Pipe, e vedere tutti i partecipanti aiutarsi tra loro per affrontare quell’ultimo ostacolo, prima della fine! Quindi oltre a un coach personale mi sono stati utili tutti i consigli che venivano dispensati ostacolo dopo ostacolo dagli “aiutanti” della gara.
Che dire!? Affrontare tutto con il sorriso premia! E anche una Inferno Run può avere i suoi momenti di benessere.
Finita la gara però una doccia di 30 minuti e un tè caldo sono stati d’obbligo, ed è inutile dirvi come ci siamo svegliati il giorno dopo…Se un tir ci avesse investito avremmo avuto meno dolori.
Ma per superare l’Inferno e le proprie paure, questo ed altro.
Ci vediamo all’Inferno di ottobre!
Eleonora Biliotti